Niadela, di Beatriz Montañez

Beatriz Montañez ha ascoltato quella voce interiore che a volte passa dal sussurro al grido in mezzo al rumore che viene da fuori. E notate che qui si pregiudicò quel presentatore di «L'intermedio»Considerando che la sua nuova scommessa professionale non sarebbe andata molto bene quando fosse scomparso dalla TV.

Si è scoperto che tutto era dovuto a una decisione molto diversa, un'idea tra il romantico e lo spirituale che l'ha resa un'asceta, un'eremita esotica dei nostri giorni. E, naturalmente, la questione invecchia quando si scopre che non si trattava di una defusione o di un temporaneo passo indietro. Anni lontani da tutto, senza un messaggio in questo libro dal quale si sprigiona proselitismo a causa o per mezzo della religione.

Si trattava di questi, di allontanarsi per incontrarsi di nuovo e scrivere per raccontarlo. Non abbiamo scoperto nuova filosofia o profondità esistenzialismo nel ritiro di Beatriz nella sua nuova casa appartata. Godiamo solo la vita, le impressioni, le sensazioni e le emozioni integrate in quella natura alla quale nessuno ritorna affatto, sine die...

Né si tratta di convincere nessuno di qualsiasi ideologia perché la decisione presa e il tempo trascorso nel ritiro indicano già che non si trattava di attirare l'attenzione. Da questo libro scaturisce una sincerità travolgente e si tratta "solo" di trasmettere una ricerca di armonie come l'animale che si mimetizza con l'ambiente come difesa certo, ma anche per diventare parte di quell'insieme con gli stessi colori.

Sinossi

Supponi di lavorare in televisione da anni, presentando un programma in 'prima serata'. Hai tutto: fama, denaro, riconoscimento professionale, una ricca vita sociale... Ma ti senti come se qualcosa fosse "crack". E lasci tutto. Ma ti fermi davvero. Perché sai che ti trascini una ferita profonda e antichissima che né la fama né il denaro né il riconoscimento sono riusciti a sanare. Ed è ora di prendersi cura di quella ferita.

Questa è la storia di Beatriz Montañez. Decise di andare a vivere in una capanna di pietra, una vecchia baracca di contadini, abbandonata da diversi decenni. Non c'era elettricità, acqua calda e nessun essere umano nel raggio di quindici miglia. Era perfetto, perché era tempo di scommettere forte, di vederli soli con quella donna vuota o vuota. Reclusione estrema? Un esperimento? Uno sfogo? Non molto meno. Beatriz Montañez vive nel suo modesto rifugio da più di cinque anni...

Dedicato semplicemente alla scrittura. In fondo, la storia che ci racconta in 'Niadela' è quella dell'espropriazione: l'abbandono di sé per ritrovare chi si è veramente. Ma come fare questo viaggio immobile? Come si fa da millenni: fermare il proprio movimento, separarsi dal gruppo o dalla tribù, aguzzare occhi e orecchie per capire ciò che la natura vuole dirti. Così 'Niadela' diventa un esercizio eccezionale di attenzione, osservazione, ascolto; in altre parole, di pura 'scrittura della natura', in cui con pazienza, precisione e con uno straordinario respiro poetico, l'autrice ci racconta l'evoluzione costante, tanto effimera quanto meravigliosa, della vita che le nasce intorno.

La scrittura di Beatriz Montañez sembra guidata sia dalla sua curiosità scientifica (da cui il lettore attinge) sia da un'intuizione superiore, secondo la quale la natura si fa e si disfa tra le parole, e a volte l'animale si fonde con il vegetale, o il minerale con l'atmosfera, o la narratrice con ciò che percepisce, e in modo sconcertante naturale il testo ci parla così di un insieme, ciò che solo il linguaggio poetico rivela, ciò il cui insediamento nella nostra coscienza consente la progressiva guarigione delle ferite che la memoria trascina.

In questo modo, la storia della sua amicizia con una volpe si intreccia con il ricordo del padre, della sua assenza, della sua morte e di qualcosa di ancora peggiore e doloroso; il racconto di quel giorno in cui si taglia un dito con la motosega (e raccoglie il frammento staccato, lo salva e fa trenta chilometri per essere riattaccato in un ambulatorio) si intreccia con la gioia profonda di verificare che l'orfano di cinghiale sia sopravvissuto , o con tristezza nel confermare l'allontanamento logico e definitivo distacco dal proprio compagno, o con il timore di essere minacciato da un cacciatore, o con l'insicurezza di sentirsi dimenticato da tutti coloro che prima facevano più parte della sua vita quotidiana, o con la la felicità di sentirsi parte di una nuova famiglia selvaggia di cui, ora, condivide il destino.

Nasce allora la possibilità di riformulare un noi (che va oltre l'umano) che assume improvvisamente un'importanza molto maggiore di quella di quel sé arrivato malconcio e che si cura, appunto, accettando la propria insignificanza e il fascino per il bellezza selvaggia che ti circonda.

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1 commento su «Niadela, di Beatriz Montañez»

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