Il caso Bramard, di Davide Longo

Il genere nero subisce un continuo avvicinamento da parte di nuovi autori capaci di assalire le coscienze dei lettori in cerca di nuovo bottino. Un po' perché, nella narrativa poliziesca di oggi, quando capisci l'autore di turno, vai alla ricerca di nuovi riferimenti.

Davide Longo offre attualmente (ha già fatto qualche incursione nel noir anni fa con il suo romanzo "The Stone Eater") quel noir in più all'italian style che beve da Camilleri ma che è più vicino all'altro suo connazionale Luca d'Andrea. Scenografia "made in" un'Italia profonda dove ognuno mette il proprio segno per scoprire, negli assassini, menti capaci di tutto da un'intelligenza disturbata.

Nella serie dei delitti in Piemonte, iniziata con questo caso Bramard, ci viene promesso un desiderio di vendetta tra gli spazi oscuri della corruzione e della depravazione. Zone d'ombra dove l'odio e il senso di colpa attendono il loro momento per irrompere con forza.

Corso Bramard è stato l'ispettore di polizia più promettente d'Italia, fino a quando un serial killer sulle sue tracce ha rapito e ucciso sua moglie e sua figlia. Sono passati vent'anni da allora, Corso vive in una vecchia casa sulle colline vicino a Torino, insegna in un istituto e passa la maggior parte del suo tempo ad arrampicare da solo.

Qualcosa, però, rimane intatto in lui: l'ossessione, coltivata con pacata fermezza, di trovare il proprio nemico. Un assassino che continua a mandarle i versi di una canzone di Leonard Cohen. Diciassette lettere in vent'anni, battute a macchina su una Olivetti del 72. Un invito? Una sfida? Adesso, quell'avversario che non ha mai sbagliato sembra essere incappato in una distrazione. Un indizio essenziale. Quanto basta a Corso Bramard per riprendere la sua caccia, illuminando una scena popolata da personaggi ambigui e potenti, un labirinto di silenzi che conducono Corso verso il suo destino.

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